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Il viaggio di Raffaele Gaito, destinazione Growth Hacking

  • Gennaio 21, 2021

Possiamo viaggiare anche restando fermi?

No, non pensate al classico viaggio fatto di aeroporti, musei e luoghi da visitare.

Se oggi abbiamo la grande opportunità di leggere la storia di Raffaele Gaito lo dobbiamo alla curiosità che ci ha spinto a trovare risposte differenti alla domanda precedente.

Sì, possiamo viaggiare anche restando fermi, partendo con il disegnare la nostra nuova mappa come ricercatori di percorsi formativi alternativi. Oggi il viaggio che vi proponiamo ha questa meta finale: ci sarà da esplorare tanto ma alla fine capiremo da dove ripartiremo la prossima volta.

Buon viaggio a chi deciderà di viverlo: nei prossimi 7 minuti di lettura, Raffaele saprà guidarvi perfettamente, ma non perdetelo di vista.

Chi era Raffaele a 18 anni, subito dopo il suo esame di maturità? Era già pronto e deciso a fare il programmatore?

Raffaele all’ingresso dell’Università di Salerno

Assolutamente sì! Considera che mentre i miei amici si personalizzavano le Skin di Windows e Winamp, io smanettavo con Linux da interfaccia testuale!

La cosa bella è che alle superiori non studiavo informatica, ma facevo tutt’altro. Però la programmazione mi interessava già da anni e me la stavo studiando per conto mio. Considerando che all’epoca non era semplicissimo trovare materiale free in rete, mi arrangiavo come potevo per far fronte alla mia sete di informazioni. Ti faccio qualche esempio:

  • Avevo trovato un professore che conosceva un po’ di Pascal e il pomeriggio rimanevo un’oretta in laboratorio e mi spiegava i concetti base;
  • Stavo imparando l’HTML facendo reverse engineering delle pagine web e andando ad intuito sul significato dei vari tag
  • Con un amico compravamo riviste di programmazione piene di tutorial e smanettavamo in Delphi per realizzare dei giochini. Per la fine dell’anno realizzammo una versione rudimentale di Snake che facemmo provare a tutta la classe

Lì capii che all’università avrei dovuto scegliere qualcosa di più vicino alle mie passioni e mi si illuminò il viso quando scoprii che a Salerno avevamo una delle migliori facoltà di informatica d’Italia.

Cliccando sul tasto “Back” della tua carriera e andando a riavvolgere il nastro del tuo percorso, c’è qualcosa che mi ha colpito ancora di più, di quando trovi in Emilie Wapnick un grande aiuto per descrivere chi sei tramite il termine multipotenziale.

Ecco, riavvolgendo il tuo percorso, quello che mi ha colpito di più è il tuo rifiuto ad una formazione standard e semplicemente accademica per sposare la ricerca della costruzione di un tuo percorso formativo, partendo dall’e-learning?

Potresti spiegarci come tutto ha avuto inizio, come hai costruito il tuo percorso formativo personalizzato già durante il tuo percorso universitario?

Beh, se ci pensi in parte la risposta alla domanda precedente va già in quella direzione. Ho sempre pensato che lo studio “ufficiale” (superiori o università) fosse abbastanza limitante e che dovevo sbrigarmela per conto mio se volevo imparare veramente qualcosa.

Con l’università questa cosa raggiunse il livello estremo per due motivazioni: internet iniziava a popolarsi di tantissimi contenuti gratuiti anche in lingua italiana e, soprattutto, il mio percorso di laurea prevedeva tantissimi corsi a scelta libera.

La mattina arrivavo all’università un paio d’ore prima dell’inizio dei corsi per poter utilizzare la connessione veloce e scaricarmi articoli, post, paper e materiale da studiare con calma a casa (dove non avevo ancora l’adsl)!

Questa cosa mi permetteva di tenere un piede nel mondo accademico e uno nel mondo reale. Mi rendevo conto che molte cose che studiavamo erano puramente teoriche o poco utilizzate nel mondo lavorativo e cercavo di colmare questa lacuna per conto mio: tenevo d’occhio i trend del mercato, studiavo i linguaggi più “commerciali”, leggevo le job description delle grandi aziende dell’IT e così via.

Dall’altro lato, avendo fatto impresa praticamente da sempre, mi rendevo conto che non mi bastavano le competenze tecniche per fare l’imprenditore. Potevo essere un bravo programmatore, ma questo non era sufficiente per vendere i propri prodotti.

In quel momento entrarono in gioco gli esami a scelta libera. Mentre la maggior parte dei ragazzi cercava di occupare quei CFU con esami “facili” per alleggerire un po’ il carico di lavoro, io andai a recuperare la lista di esami che appartenevano ad altre facoltà e che potevano essermi più utili per il mio lavoro. E così mi ritrovai a fare esami di diritto di internet, semiotica, elementi di marketing, elementi di economia e così via.

Ovviamente tutto questo era prima del boom dei MOOC e delle piattaforme di e-learning. Non c’erano ancora migliaia di corsi gratuiti su qualsiasi cosa.

Poi, quando sono arrivati questi strumenti, io mi ci sono letteralmente fiondato. Mi faccio almeno un corso a trimestre e, soprattutto, cerco di tenere la mente aperta e avere stimoli continui.

Per fare questo, uso un approccio che ho letto da qualche parte ma non ricordo dove: almeno una volta al mese leggo un libro di un argomento non mio, almeno una volta al mese guardo un film che non avrei mai guardatoascolto un disco di un genere che non è il mio preferito, mi faccio una chiacchierata (live o remota) con un esperto di un altro settore e così via.

Insomma, per usare un termine moderno, cerco di uscire dalla mia filter bubble il più possibile!

 

Dopo l’università hai iniziato a lavorare come Full Stack Developer e contemporaneamente ti sei innamorato non di una ragazza ma del mondo delle Startup.

Ad oggi segui decine di Startup come mentor: per arrivare a questo, immagino i grandi sacrifici fatti, i test, gli errori e i primi successi.

Ecco, com’è nato questo amore per il mondo delle Startup e qual è stata la scalata che hai dovuto affrontare per arrivare ad essere uno fra i mentor per startup più ricercati d’Italia?

Come accennavo nella risposta precedente, in realtà faccio impresa da quando ho 20 anni e sono cresciuto in una famiglia dove lo spirito imprenditoriale era nell’aria, con due nonni commercianti.

All’inizio non sapevo manco cosa fosse una startup, facevo software e ci definivamo una software house. Ora il termine sembra vetusto e se non fai startup sei uno sfigato.

Poi una cosa tira l’altra e nel 2011 (poco prima dell’hype) inizio a sfiorare questo mondo startup leggendo in rete i primi articoli che parlano di questo trend e di questi pazzi che cercano di fare impresa in modo diverso.

Da lì un evento tira l’altro, grazie al networking (sia online che offline) ho conosciuto un botto di gente e ho capito che era un ambiente piccolo, composto da 4 gatti che si conoscevano tutti estrapieno di aria fritta.

Essendoci passato, essendomi sporcato le mani in prima persona e ricordando bene le difficoltà del muovere i primi passi, ho poi deciso che volevo dare una mano agli altri che stavano facendo lo stesso percorso. Gli americani lo chiamano givebackper me si tratta semplicemente di karma.

Negli ultimi anni, quindi, ho iniziato ad affiancare decine di startup con questo ruolo non ufficiale e completamente pro-bono di mentor. Perché ho sottolineato “non ufficiale” e “pro bono”? Perché, alla fine, il ruolo di mentor non è definito da nessuna parte, non hai un contratto o un impegno stabilito.

Lo fai con le persone che ti colpiscono ed è un rapporto a due direzioni: tu dai a loro, ma allo stesso tempo prendi tanto da loro! E poi vale anche la pena di sottolineare la questione del pro bono perché so che ci sono furbetti che si fanno pagare per fare i mentor.

Quella è un’altra cosa: se avete bisogno di un advisor o di un coach, quello lo si paga, ma se avete bisogno di un mentor, assolutamente no.

Correggimi se sbaglio: tu e il Growth Hacking probabilmente vi conoscete da sempre ma il vostro incontro ufficiale è avvenuto nel 2015 e subito dopo hai scoperto il suo potenziale grazie a 3 mesi di grande studio e ricerche a Growth Tribe Academy insieme a Luca Barboni?

Quando e come ti sei accorto che il Growth Hacking poteva essere una grande risorsa per le imprese e professionisti italiani, visto che prima di te e Luca questa materia era incredibilmente sconosciuta nel nostro paese?

No, in realtà l’incontro è avvenuto molto prima, credo almeno 4-5 anni fa. Solo che, come tutti quelli che si avvicinano a questa materia, anche io pensavo che fosse un insieme di trucchetti e di scorciatoie. Quindi mi leggevo gli articoli sui bot, sui fake, sullo scraping, sulla roba black hat e pensavo che fosse growth hacking.

Però tutto questo mi intrigava e mi rendevo conto che era molto vicino alla mia figura e al mio mindset: io che da programmatore vedevo il mondo dei marketer come qualcosa di fumoso, trovavo finalmente una disciplina che metteva insieme questi due mondi, più tante altre cose.

Come tutto il resto, ho deciso di non fermarmi alla superficie, ma di approfondire e capirne di più, anche perché mi rendevo conto che non bastava copiare e incollare le cose lette nei casi studio per ottenere gli stessi risultati.

Il punto di non ritorno è stato quando ho letto per la prima volta “Growth Hacker Marketing” di Ryan Holiday. Lì ho avuto l’epifania e ho capito che si trattava di molto di più e che c’era un mondo sommerso sotto quell’iceberg e che stavo completamente ignorando.

 

L’esperienza in Growth Tribe con Luca è stata quasi alla fine di questo percorso. Alla fine leggevo sempre le stesse cose in inglese e in Italiano eravamo gli unici a produrre contenuti e a confrontarci sul tema.

Io credo fortemente che quando non stai imparando più nulla non devi fermarti, ma devi andare a cercare un maestro migliore e così mi guardai intorno per capire chi era il top in Europa.

Quando ho trovato l’accademia ad Amsterdam, ho deciso di trasferirmi lì per dare un’altra spinta.

Ne è valsa la pena: nonostante io spenda tantissimo in formazione ogni anno, quello è stato uno dei migliori investimenti degli ultimi anni.

CONTINUA A LEGGERE L’INTERVISTA A RAFFAELE GAITO SU BESOURCER.COM > https://besourcer.com/raffaele-gaito-growth-hacking/