La prima volta che ho letto le risposte di Osvaldo alle domande di questa intervista ho ripreso l’evidenziatore: non ricordo qual è stata l’ultima volta che ne ho utilizzato uno per sottolineare qualcosa. Voi ve lo ricordate?
Subito dopo, ho deciso di stampare questa intervista con la promessa di avercela sempre con me, nel mio studio, un po’ per ricordo e un po’ per quello che racconta: parole e pensieri profondi dedicati a chi ama il prossimo e non solo il mondo delle Risorse Umane.
Questa intervista parte da molto lontano: ci riporta indietro nel tempo, così indietro che abbiamo bisogno di riprendere un evidenziatore per segnare tutte le emozioni, verità e prospettive che ci regala.
Chi era Osvaldo a 18 anni, subito dopo il suo esame di maturità, e quali erano le sue ambizioni? Aveva già capito che voleva lavorare nel settore delle Risorse Umane?
Quando avevo 18 anni non credo che esistessero le Risorse Umane così come le intendiamo oggi e di sicuro non avrei mai immaginato tutto quello che è successo negli ultimi 30 anni da allora. Di sicuro, ho sempre avuto un’attrazione fatale per “il gruppo”.
A 18 anni facevo parte di un gruppo straordinario di ragazzi della mia parrocchia, con cui facevamo progetti di grande umanità, probabilmente grazie alle nostre guide, che erano prima di tutto uomini e poi sacerdoti. Ci hanno insegnato la grande forza del volontariato, la capacità di stare insieme e ascoltarci: l’amore per le persone credo di averlo imparato lì. Campi scuola, interventi a favore del terremoto dell’Irpinia, volontariato negli ospizi, al Cottolengo: queste e altre sono esperienze che, credo, segnino il carattere in maniera molto forte. Poi sono venuti i villaggi turistici: è li che capisci davvero se le persone ti piacciono.
Ecco, io farei fare un bel periodo (a mo’ di servizio militare) nei villaggi turistici a tutti coloro che dicono di volersi dedicare alle Risorse Umane. Quando stai a contatto con gente di tutti i tipi, provenienza e qualità, 18 ore al giorno, limitando la tua risorsa di tempo al minimo indispensabile per te stesso e inventi ogni giorno qualcosa per gli altri, risolvi situazioni di crisi, riesci ad annullare le tue esigenze per gli altri, allora capisci se sei davvero pronto per dedicarti agli altri.
I villaggi hanno unito la mia passione per le persone a un aspetto che non conoscevo che è la spinta creativa con cui poi ho pensato FiordiRisorse, il MUSTer e tutto quello che gravita intorno al mio modo di fare Umane Risorse.
Potresti spiegarci come tutto ha avuto inizio, come hai costruito il tuo percorso formativo e professionale personalizzato già durante l’università?
Io sono stato un passeggero dell’Università. Non mi sono mai laureato perché avevo preso così sul serio la mia laurea (Lingue e letterature moderne) da aver messo come seconda lingua il tedesco. Una lingua mai studiata prima, che dunque richiedeva un impegno e una costanza che non avevo più nel momento in cui avevo già iniziato a lavorare nei villaggi anche d’inverno.
Ho lasciato a 3 esami dalla tesi ma, con grande presunzione, dico sempre che quella non-laurea mi è bastata per ciò che poi sono diventato. Senza l’esperienza nei villaggi – che poi si è trasformata nella direzione di un albergo in Kenya e in 3 anni di selezioni di personale per una società di gestione alberghiera – non sarei mai stato contattato da Adecco per il lancio della prima vera agenzia interinale di specializzazione alberghiera: Horecca. Poi arrivò la chiamata di Michael Page, società che – all’inizio del 2000 – era ancora fortemente connotata come una società di selezione di alto livello per le figure finanziarie. Avevo fatto il classico e mi ero iscritto a lettere: capirai che amore potessi avere per i numeri…
Mi dissero che “mi avrebbero insegnato loro” ed effettivamente trovai un’alta qualità di competenze e serietà nei miei colleghi, un piano di formazione a dir poco mostruoso e in un anno crebbi in maniera esponenziale, giorno dopo giorno. Fui licenziato dal mio capo (per evidenti problemi di convivenza di due ego troppo ingombranti per lo stesso palazzo), quando Manpower mi chiamò per lanciare, insieme ad altri 5 veri pionieri, la prima divisione di Selezione di Alti Livelli di una società interinale: Manpower Professional. Furono mesi eroici in cui, con i miei 4 colleghi (tutti provenienti da realtà di selezione vera e qualificata), ci chiudemmo in “ritiro spirituale”: costruimmo i contratti di selezione, le policy aziendali, i processi di selezione.
Manpower, però, non aveva mai davvero creduto in quel progetto e soprattutto continuava a nominare nostri capi persone senza una cultura vera della selezione, che non sapevano dare dignità a questo progetto rispetto alle mille divisioni interinali di una società che guadagnava miliardi e per la quale rappresentavamo poco più di un unghia incarnita. Eravamo talmente disperati che proposi all’Amministratore Delegato di assumere il capo che mi aveva licenziato in Michael Page. La mia mozione fu accolta.
Il mio vecchio capo accettò l’incarico, giusto il tempo di licenziarmi la seconda volta (sono un caso di studio statistico) e alla fine, in un modo o nell’altro (più nell’altro), la divisione è stata smantellata, acquisendo cento nomi diversi senza mai impossessarsi di quella identità forte di società di selezione.
Quando ti sei innamorato del tuo lavoro? Quando hai compreso che potevi fare qualcosa di importante per migliorare il concetto di Risorse Umane nelle aziende italiane?
Tardi, ma in tempo per essere riuscito a emergere nel mare magnum dello storytelling delle risorse umane.
Mi spiego: “tardi” perché le Risorse Umane sono irrimediabilmente presidiate da Associazioni di ogni genere che anelano, da anni, a un rinnovamento del settore che è solo di facciata, ma povero nei contenuti, o da community che si definiscono legate alle risorse umane ma di fatto sono legate alla politica e a logiche commerciali e non esprimono alcun valore etico legato alla passione per le persone. Dall’altro lato, sono diventate il refugium peccatorum dei figli degli imprenditori che, se non si sa cosa fargli fare, finiscono nel marketing o nelle Risorse Umane, “tanto lì non possono fare danni”.
“In tempo” perché tutte queste realtà sono lontane anni luce da qualsiasi trasformazione digitale. Pertanto, quando ho iniziato a cercare di raccontare il mio modello di Umane Risorse (ovvero cambiare i paradigmi e riportare le Persone al Centro – slogan che tutti usano ora, ma che io ho coniato 10 anni fa per la mia Community e ho dismesso dopo averlo visto sul manifesto elettorale di Lupi e a Milano e sul volantino di un dentista), l’ho fatto da subito con Linkedin, poi con le piattaforme di social collaboration, poi con strumenti digitali veri, di cui nessuno di questi attori, ancora oggi, ha ancora piena capacità di utilizzo.
Hai lavorato come Recruiter Manager in Adecco, Manpower, Michael Page e assistito alla trasformazione del lavoro, sia nella fase di ricerca lavoro che nel campo delle offerte lavoro.
Cosa ti hanno insegnato questi 20 anni vissuti in Italia nel tentativo di poter cambiare, in meglio, le aziende e i candidati italiani?
Ho imparato che le aziende non cambiano: cambiano le persone che le presidiano. Non è un caso se, in un’azienda, sia sufficiente che arrivi un nuovo direttore del personale per iniziare a fare, improvvisamente, analisi di clima, formazione di qualità, analisi del potenziale e delle competenze, aprendo le porte e si respirando aria fresca.
Ho imparato che condividere è meglio che conservare.
Oggi, con alcuni competitor collaboriamo, ci scambiamo informazioni, ci confrontiamo su processi e progetti. Tenere un curriculum in un cassetto non fa bene né ai candidati né al recruiter; oggi un recruiter degno di questo nome deve essere prima di tutto un costruttore di relazioni, un anticipatore.
Un vero HR Manager deve essere una persona curiosa, deve spalancare le porte della sua azienda, deve essere promotore del brand, offrirsi al pubblico, andare a mettere il naso nei posti meno conformi al suo ruolo e per questo più ricchi di competizione: continuo a incontrare, invece, direttori del Personale che si misurano solo a seconda di quanta “riduzione dei costi” hanno effettuato, tenendo buoni i sindacati. Se poi gli parli di organizzazione, sviluppo e formazione ti guardano come un alieno.
C’è stato un passaggio fondamentale nella tua vita e nella tua carriera, diversi anni fa: dopo anni passati in azienda, hai deciso di ripartire lavorando come Freelance Recruiter e di dare vita a Fior di Risorse.
Cosa ti ha fatto comprendere che era arrivato il momento di fare questo passaggio?
FiordiRisorse è nata mentre io ero ancora in azienda. Ho pensato che fosse arrivato il momento di far il mio mestiere non più attraverso il porta a porta, ma generando contenuti e presidiando luoghi in cui creare relazioni.
Ho pensato che era venuto il momento di farsi conoscere condividendo competenze e conoscenze e non attraverso la lettura di una brochure. 10 anni fa ho avuto questa intuizione e 10 anni dopo è sotto gli occhi di tutti che chi non si sta muovendo in questo modo e pensa di generare innovazione in circoli chiusi, si sta suicidando.
Con FiordiRisorse state dando un nuovo senso alla gestione delle risorse umane aiutando le stesse aziende in questi processi, che vengono sempre sottovalutati. Insieme a questo aspetto, avete e continuate a creare centinaia di eventi e percorsi di formazione in Italia.
Come sarà FiordiRisorse in futuro?
FiordiRisorse, ci tengo a precisare, è un’associazione in cui si promuove cultura del lavoro, non solo destinata a chi si occupa di Risorse Umane (che poi è una percentuale minore rispetto per esempio al marketing, comunicazione e commerciale) ma in maniera trasversale approfondisce tematiche del lavoro.
Oltre agli incontri serali, in cui invitiamo manager, imprenditori, autori di libri, persone di cultura a confrontarsi su temi che riteniamo importanti, da FiordiRisorse sono nati:
- il primo Master Manageriale itinerante che esiste in Italia;
- il primo giornale con oltre 300 collaboratori che contamina giornalisti di grande spessore con autori esperti di vari argomenti sulle tematiche del lavoro;
- il primo Festival della cultura del lavoro, sul cui palco non salgono sponsor né politici ma solo contenuti. Non per niente, la prima edizione è stata un successo clamoroso, a dimostrazione che quando le cose hanno un’anima, essa viene percepita prepotentemente.
Lo dico con grande convinzione: FiordiRisorse rappresenterà sempre di più la coscienza critica del nostro mondo del lavoro; stiamo lavorando avvalendoci di grandi professionalità e in maniera controcorrente a tutti coloro che parlano di lavoro rivolgendosi prima alla politica e alle lobby e poi alle Persone.
Noi abbiamo fatto esattamente il percorso al contrario: siamo partiti dalle Persone per arrivare a farci ascoltare dalla politica e dai media.
Secondo te, nei prossimi anni il Recruiting sarà sempre di più legato al concetto di Social Recruiting ed Employer Brand o vedremo qualcosa di totalmente nuovo?
Il recruiting sarà fortemente caratterizzato dal social recruiting, al netto delle favole sui robot che selezioneranno le persone, ma soprattutto da una fortissima attività di employer branding che non transiterà più dai Career Day a pagamento ma da veri e propri progetti svolti dalle aziende insieme alle scuole, assumendo collaboratori con caratteristiche molto spiccate nel saper raccontare le aziende, elaborare percorsi di formazione aggiornati, capacità relazionali molto spiccate e – questa è una mia speranza – una grande attitudine alla curiosità: conoscere persone e fare domande.
Quali sono le tue aziende preferite in Italia e/o in Europa che operano nel settore HR & Recruiting?
Sodastream e Heineken hanno fatto progetti di employer branding straordinari. Elica e Vitec (finchè c’è stato Marco Scippa alle risorse umane) hanno davvero segnato la storia dell’employer branding: Elica si è persa per la strada; per Vitec nutriamo speranze con il nuovo direttore del personale, che spero sappia fare tesoro di una così pesante eredità.
Besourcer è anche un network che consiglia ogni giorno tool di Digital Marketing a ognuno dei suoi membri. Come Recruiter, quali sono i tuoi 3 migliori tool di Recruiting?
Fra i portali non c’è dubbio che Indeed sta dando seriamente filo da torcere, tecnologicamente parlando, a Monster e Infojob, che ormai non sono più sul binario da anni. L’acquisizione di Monster da parte di Randstad credo sia stato il colpo di grazia finale.
Fra i gestionali, ritengo che Altamira sia al top da anni e in costante aggiornamento.
Il cruscotto di Linkedin per le aziende è indubbiamente uno strumento di una potenza formidabile.
Abbiamo iniziato questa intervista con questa domanda:”Chi era Osvaldo a 18 anni, aveva già le idee chiare sul suo futuro?”. Ci piacerebbe chiudere chiedendoti cosa consiglieresti a un giovane italiano in cerca di un nuovo lavoro, dopo tutto quello che hai appreso in questi anni.
Gli consiglierei di iniziare a cercare lavoro già dalla scuola, seguendo sui social le persone che dicono cose moderne e lo appassionano per i concetti che esprimono, iniziando a immaginare la sua strada.
Gli direi di non credere a chi vuole allontanare le persone di esperienza per “fare spazio” e a chi celebra la cultura del fallimento; di cercare un mentore, seguire qualcuno che sappia trasferire conoscenza; di concentrarsi su errori nuovi, non su quelli che sono stati già fatti e l’unico modo per farlo è farsi guidare.
Spesso vado nelle scuole a parlare con gli studenti dell’ultimo anno di istituti tecnici o delle Università e purtroppo non solo non sanno cosa vogliono fare una volta finiti gli studi, ma non sanno nemmeno elencare 3 nomi di aziende a cui inviare il loro curriculum. Chiedete ai vostri professori di portarvi a visitare delle aziende, contattate imprenditori; se i vostri genitori hanno degli amici manager, intervistateli e chiedete loro informazioni, fateli parlare.
Soprattutto, fate un’esperienza all’estero dopo il diploma o dopo la laurea, un anno sabbatico per fare chiarezza vivendo in realtà diverse dalla nostra per ripulirvi dai retropensieri, dai falsi ideologici della famiglia, degli amici, del contesto culturale in cui vivete.
Durante quell’anno, fate un lavoro qualsiasi che vi serva per imparare a interagire con colleghi, con un ambiente di lavoro, con processi fossero anche quelli semplici di un Mc Donald’s.
Serve per aprire la mente, per focalizzarsi su ciò che si vuole davvero fare, per uscire dalle zone di comfort, per imparare a leggere e scrivere in una seconda lingua.
È il punto di partenza perfetto per qualsiasi curriculum.